Gabriele e Federico dividono i castelli

Da Conti e principi di Porcia e Brugnera.

Gabriele e Federico dividono i castelli

Finora, abbiamo visto come la casa dei Prata, Porcia e Brugnera fosse divenuta importante nella nostra zona. Abbiamo già appreso che il capostipite Gabriele ebbe come figlio Guecelletto, che accrebbe le prerogative della famiglia.

Guecelletto, che deve essere scomparso successivamente al 1203, lasciò due figli, Gabriele e Federico. Questi nel 1214 decisero di spartirsi il patrimonio paterno, formando le due famiglie distinte dei di Prata e di Porcia e Brugnera (dal norne dei castelli a ciascuno spettanti).

Gabriele conservò il titolo di signore di Prata, con l’avvocazia del Vescovado di Concordia. Come territorio, oltre al castello di Prata, ebbe, tra l’altro, Sant’Andrea, Campagnola, Cimpello, Corva, Ghirano, Gradisca, Mantova (di Azzano Decimo), San Martino, Morsano di là, Mosson, Orsaria, Parussa, Pasiano di Sopra, Peressine, Pozzo, Praturlone, Puia, Rivarotta, Tamai, Piezzo, Prata vecchia, Prata di qua, Villanova, Villotta e Visinale.

A Federico, che prese il titolo di signore di Porcia e Brugnera, con l’avvocazia del Vescovado di Ceneda, toccarono: Fontanafredda, Palse, Ronche, San Foca, Castions di Zoppola (allora detta di Porcia), Maron, Talmassons, Talponedo, San Cassiano, Pieve, Francenigo e Roveredo.

Sia i da Prata che i Porcia e Brugnera, per le selve, i campi, le rendite che possedevano, potevano stare alla pari con i principali signori del Friuli e della Marca trevigiana. Strinsero, come era costume, relazioni di parentela con le più potenti case italiane. Si possono menzionare: i da Romano, i Carraresi, i da Camino, i della Torre, i Visconti, i della Scala, i Savorgnano, i Polcenigo, i Colloredo. All’estero, furono imparentati, tra l’altro, con i Fugger, gli Auersperg e gli Stahrenberg.

Guecello II favorito da Federico II in disgrazia per Ezzelino da Romano

Gabriele II, morendo verso il 1224, lasciò tre figli: Federico, Guecello II e Locia. Federico fu vescovo di Concordia per un trentennio (dal 1221 al 1250); Locia andò sposa al doge di Venezia, Rinieri Zeno.

Guecello II fu un personaggio cospicuo. Per la fedeltà assicurata al partito ghibellino, l'imperatore Federico II lo creò suo vicario nella regione tra l’Oglio e Trento. Lo investì anche della villa di Corva e suo territorio cum honore comitatus, jurisdictione et hominum. Guecello era imparentato con i da Romano e ne seguì la politica.

In quegli anni raggiunse grande potenza, ma per un periodo limitato, il famoso Ezzelino da Romano. Appoggiato, inizialmente, dall’imperatore Federico II di Svevia, con l’astuzia e la violenza, Ezzelino aveva imposto il dominio su grandi città del Veneto, quali Treviso, Verona, Padova e Vicenza. Ma le sue repentine fortune gli fomentarono grosse inimicizie. I suoi avversari gli diedero battaglia e nel 1259 a Cassano d’Adda lo sconfissero definitivamente. E la potenza dei da Romano si dissolse.

Guecello II, che aveva ottenuto l'incarico di podestà di Padova nel 1247 da Ezzelino, quando questi cadde in disgrazia venne posto al bando assieme ai figli dal Patriarca Gregorio di Montelongo (avversario dei da Romano). A fatica e sottostando a pesanti imposizioni (la perdita del castello di San Stino e di Corbolone), Guecello ottenne la grazia del Patriarca. L’umiliazione, racconta il De Pellegrini [1], lo crucciò enormemente e si ritirò nel suo castello di Prata, dove poco dopo, nel 1262, morì.

Anche i successori di Guecello II si misero in urto con il Patriarcato. Gabriele III, verso il 1293, occupava con i suoi armati il castello di San Stino, che era stato donato, trent’anni prima, da Guecello II «alla Chiesa di Aquileia» per farsi perdonare dall’aver parteggiato per l’Ezzelino.

Il Patriarca, furibondo, minacciò la scomunica se non gli fosse restituito il maniero, come successivamente avvenne.

I da Prata ebbero, poi, diversi scontri con le varie fazioni che in quel periodo si fronteggiavano nella zona. «Prata — ha scritto Ernesto Degani [2]era un castello molto vasto e popolato e uno dei più forti del Friuli. Nel 1258 molte famiglie ghibelline, bandite da Firenze, rifugiaronsi nel Friuli e alcune di esse furono accolte in questo castello. Il quale però andò decadendo ben presto» per gli scontri che avvenivano sotto le sue mura «e per un incendio accidentale che il 20 aprile 1316 lo arse quasi tutto».

Note

  1. «Gente d’arme..., cit., p. 75
  2. «La Diocesi di Concordia», p. 132